La strategia CHIVA

Sergio Gianesini, MD PhD FACS

Università di Ferrara (ITALY)
Uniformed Services University of Health Sciences (Bethesda, USA)
Presidente della venous-lymphatic World International Network (v-WIN) foundation
Presidente eletto della Società Mondiale di Flebologia (International Union of Phlebology)

 

Il trattamento delle vene varicose prevede una prima scelta strategica: asportare il vaso malato o piuttosto ripararlo. L’argomento offre la possibilità di sottolineare la differenza fra “tecnica” e “strategia”. Tale aspetto è di fondamentale importanza in un’epoca scientifica e tecnologica caratterizzata da una costante offerta di mercato proponente innovative strumentazioni. L’innovazione in questione si riferisce difatti ad un aspetto di “tecnica” e si caratterizza per un continuo tentativo di miglioramento della mini-invasività della procedura. Ciò però non corrisponde ad un’innovazione strategica in quanto l’orientamento terapeutico resta l’asportazione del vaso, in modo similare allo stripping chirurgico.

Mentre dunque la “strategia” terapeutica può essere definita come “la selezione tra asportazione e riparazione del vaso”, la tecnica rappresenta piuttosto “la strumentazione impiegata per realizzare la strategia pre-operatoriamente selezionata”. La principale strategia riparativa prende il nome di CHIVA, un acronimo indicante la “Correzione Emodinamica dell’Insufficienza Venosa in Ambulatorio”

Il trattamento emodinamico secondo strategia CHIVA si basa sul concetto di trasformazione del reflusso venoso in un fisiologico flusso di drenaggio. Tale obiettivo si realizza mediante la chiusura dei “rubinetti” che alimentano il flusso patologico all’interno di una vena, facendo drenare la vena stessa all’interno di circoli normo-funzionanti (Gianesini S, et al. CHIVA strategy in chronic venous disease treatment: instructions for users. Phlebology Journal 2015).

 

L’opzione strategica di non asportare una vena refluente bensì di ripristinarne il fisiologico drenaggio era stata già elegantemente descritta nel 1971 dal gruppo di Fegan (Quill RDFegan WG. Reversibility of femorosaphenous reflux. Br J Surg. 1971).

Nel 2019 un’importante revisione della letteratura ha confermato la possibilità di ridurre la percentuale di ricomparsa delle vene varicose grazie all’approccio CHIVA, con correlati vantaggi anche in termini di qualità di vita e complicanze (Guo L et al. Long-term efficacy of different procedures for treatment of varicose veins: A network meta-analysis. Medicine (Baltimore). 2019).

Trattandosi di un intervento disegnato sullo specifico caso di ogni singolo paziente, come già pubblicato nel 2011, è fondamentale considerare l’esperienza dell’operatore, in particolare nel contesto dei trattamenti emodinamici (Milone M. Recurrent varicose veins of the lower limbs after surgery. Role of surgical technique (stripping vs. CHIVA) and surgeon’s experience. G Chir. 2011).

Questi ultimi rappresentano difatti una tipologia procedurale eseguita sulla precisa “misura” emodinamica del paziente, richiedendo dunque una significativa esperienza ecografica finalizzata alla corretta identificazione dei segmenti anatomici meritevoli di trattamento.

In conclusione, il trattamento CHIVA, pur nella loro difficoltà di apprendimento da parte del chirurgo, rappresenta un’opportunità di evolvere non solo nello sviluppo tecnologico sottoforma di strumentazione sempre più mini-invasiva, bensì anche nell’opzione strategica ritagliata sullo specifico caso del paziente, migliorandone non solo la mini-invasività bensì anche la performance clinica nonché il tempo procedurale.

Nell’ultimo decennio è stato poi dimostrato come tale approccio sia eseguibile anche con i più moderni strumenti endovenosi, minimizzando ancora di più l’invasività per il paziente e ottimizzando il risultato estetico, privo di cicatrici chirurgiche (Gianesini S. Segmental saphenous ablation for chronic venous disease treatment. Phlebology. 2021).